FOTOGRAFIA ANALITICA

Il mio intento, in questa rassegna di mostre a cui do il nome di “Fotogrtafia Analitica”, e´ quello di far conoscere a un ampio pubblico un genere di arte che si faceva nel periodo delle neoavanguardie degli anni ´60 e ´70, che agiva nella decostruzione semantica dell´idioletto dell´opera fotografica. Affronteremo debitamente il discorso critico e teorico delle opere che fanno parte di tale termine (soprattutto durante le mostre che terremo all´ Under Factory a partire da febbraio 2026 con la prima dedicata a Rosa Foschi e Luca Maria Patella). Ora pero´ vorrei dire brevemente una cosa sul consunto termine “Concettuale” usato molto nell´ ambito artistico e fotogRafico:

”Nel gergo artistico attuale (quello degli addetti ai lavori) viene chiamata col termine “Fotografia Concettuale” ogni forma espressiva che usi lo strumento fotografico come semplice pretesto per la significazione narrante. Nel linguaggio comune, usato perlopiu´ da quelli che bazzicano il mondo pret-a-porter della Foto, l´accezione“concettuale” viene adoperata (giustamente, per loro scarna conoscenza) per significare ogni cosa che faccia pensare e riflettere un po´. Ma nell´arte tale parola ha una connotazione, origine, contestualizzazione, volonta´, nozioni storiche-storiografiche precise, per cui non dovrebbe essere usata per “concezioni” o riferimenti a prassi che non le appartengono, altrimenti critica e teoria dell´arte non hanno piu´ alcun senso. E scopo. La parola “Concettuale” accompagnata dalla parola “Arte”, nasce negli anni sessanta da un giovanissimo e geniale curatore e teorico dell´arte newyorkese di nome Seth Siegelaub. Costui, per farla breve, convinse le piu´ importanti multinazionali ad investire in una forma artistica in cui l´opera non esisteva (soprattutto secondo i criteri di commerciabilita´ dell´oggetto), e a presenziare le mostre v´era solo una intellettuale disquisizione gnoseologica dell´opera d´arte in cui l´oggetto era superfluo. Oppure quella teorizzata, sempre in quel periodo, dalla Catherine Millet che molto esaurientemente l´ha descritta in Textes sur l’art conceptuel  nel ´72. Come nella sua estrema declinazione nella monosemia del messaggio dell´opera di Bernar Venet.

Il mondo e´ ancora vivibile perche´ e´ complesso. Le semplificazioni come quella di usare il termine “arte concettuale” alla sanfason o per ogni cosa che abbia un volere artistico minimamente pensante, sono pressapochistiche e diseducative (come ogni uso di termini vuoti o troppo imbottiti di significati impropri) perche´ esprimono violenza. Portano in grembo una sola parola che deve andare  bene per ogni cosa e per tutte le persone. Cioe´ per niente e per nessuno”.

Giuseppe Ferraina

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